2. La Scrittura Creativa in Italia

In Italia i corsi di Scrittura Creativa non godono sempre, ahiloro, di buona reputazione.

Negli Stati Uniti, dove la Scrittura Creativa è nata, cresciuta e si è diffusa, tutti i corsi di laurea in belle arti (M.F.A.) prevedono percorsi di Scrittura Creativa. Lo Iowa Writers’ Workshop dell’Università dello Iowa fu fondato nel 1936, ed è oggi probabilmente il più longevo percorso accademico di Scrittura Creativa. Il percorso americano fu lungo e lento; come già accennato, vide le sue radici nel discorso di Emerson del 1837, e i laboratori di composizione letteraria e successivamente di Scrittura Creativa nacquero da un lungo dibattito sulla riforma del sistema educativo americano.

Agli americani vanno il merito di aver riformato il sistema didattico e di aver lavorato ininterrottamente per la sua costante innovazione.

Nel 1976 in una delle sue lezioni alla Naropa University, William Burroughs criticava la scrittura per non essersi innovata quanto la pittura, chiamandola il “gemello scemo” delle arti visive.

Ai suoi studenti proponeva esercizi non convenzionali come il cut-up, il fold-in ed i cadaveri squisiti. La critica avveniva in un contesto di innovazione in cui la critica era non innovare abbastanza.

Il demerito italiano è di non aver innovato proprio. Essersi cullati sugli allori dei grandi classici della letteratura delegando al passato tutto ciò che uno studente avesse da imparare e scoprire, snobbando e ignorando anche i più grandi innovatori contemporanei della cultura, dell’educazione e della letteratura. Non è un caso che uno dei testi italiani più interessanti ed innovativi del XX secolo, le Lezioni Americane (1985) fu preparato da Calvino per Harvard.

La cattiva reputazione della Scrittura Creativa in Italia, ha due origini: il ritardo culturale e la Holden. In primo luogo il ritardo culturale, inteso come la malinconica nostalgia del passato, l’incapacità di mettere in discussione e di aprirsi al nuovo di cui si è già parlato. In secondo luogo, Baricco. La messa a sistema di una scuola di scrittura e la frustrazione di tutti gli iscritti che volevano fare lo scrittore e non ci riuscirono, nonostante la retta mensile regolarmente bonificata.

Il problema sta anche un po’ nelle aspettative.

Criticare un corso di scrittura perché non ti fa diventare uno scrittore è un po’ come criticare le lezioni di chitarra perché non diventi Eric Clapton.

Un bisogno primario ed atavico, quello di scrivere, comporre opere creative, un bisogno che università e scuole non sanno colmare. È da questa mancanza che nascono la Holden, Wu Ming e tutte le altre. Criticare Baricco e la Holden, tuttavia, non serve a nulla; ciò che serve è portare nuove idee, nuovi metodi, esperimenti, e farlo senza chiedere il permesso, il placet o la benedizione. Rompere un po’ le palle.

La critica alla Holden non ha molto senso perché l’offerta nasce da un bisogno. Lo svecchiamento è già iniziato, ed uno dei meriti più grandi in questi anni va probabilmente al movimento italiano di Poetry Slam (nato, ahinoi, anch’esso negli Stati Uniti), che ha dissacrato l’idea del poeta come l’erudito – spesso triste, sfigato, e possibilmente un po’ gobbo -, e dei leggii e della noia mortale dei reading letterari. A noi il compito di continuare questa innovazione, di aiutare il gemello scemo. Martellarci le palle su cosa si può dire e fare non serve a nulla, bisogna sperimentare.

È un processo lungo, ma da qualche parte bisognerà pure iniziare.

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