Il caso non esiste, rispondo a chi mi chiede perché scrivo.
La versione breve racconta di una bambina, di sei anni, che immaginava situazioni e personaggi. Di come poi quelle situazioni fossero diventate talmente tante che doveva pur liberare la mente in qualche modo. Cominciò con i temi, a scuola, ma c’era sempre una “traccia” da rispettare. Banale, limitante.
Voleva dare vita a quelle storie, parola dopo parola, e fuggire dalla realtà in esse. Insieme alla scrittura, venne la lettura e la mitica estate del 2001, in cui lesse 34 libri di una collana per ragazzi. “Io lo avrei scritto in modo diverso” si disse. E iniziò a farlo.
Allora era quasi un gioco, oggi è la passione che muove tutto. Per sapere di come ho fatto de “il caso non esiste” il mio mantra, e la versione lunga della storia, leggi il mio racconto presente ne “L’ora del tè”.
L’inizio di una grandiosa avventura! Non avevo mai finito nulla prima, che fosse un racconto breve o qualcosa di più lungo. Ora so che posso farlo, ora so cosa posso fare con tutte le parole, le storie e i personaggi che ho in testa.
«Se si potesse vincere l’Oscar in regie di film mentali, di certo la mensola in sala, dove tengo la collezione dei romanzi della Austen, ne sarebbe piena. [...] Dovrei scriverle e poi venderle, così addio vita precaria! Oppure realizzare un gioco da tavolo basato sul mio di Gioco: lasciar guidare l’istinto, [...] come andare in stazione il tuo giorno libero e prendere il primo treno in partenza.»
Francesca Bologna, "Il Gioco"
«E diceva un’altra cosa, sempre, la ripeteva come un mantra: quando ti perdi, cercati negli occhi di chi ti guarda e capirai. Ma il semaforo diventa verde e non posso restare a guardarmi negli occhi di lei che mi sorridono, inclinati sulla sua spalla destra.»
Francesca Bologna, "Il Gioco"
«Vedo me, il buono che conoscevo di me. Lei lo ha visto in una frazione di secondo e gli ha sorriso, perché quella parte di me forse se lo merita ancora un sorriso da una sconosciuta.»
Francesca Bologna, "Il Gioco"