“Le radici del mondo” di Andrea Lalli

di Andrea Lalli

Sulle verdi colline della piccola Contea di Alness ogni mattina si innalza un urlo potente e assordante: “CRIDHE AONAICHTE!”. Si tratta degli Alnesi, una popolazione di una remota terra del nord ricca di tradizioni arcane e ormai dimenticate. All’inizio di ogni giornata gli Alnesi lanciano al cielo questo grido, potremmo definirlo un ruggito, così possente che può essere udito da diversi chilometri di distanza.
Se ci avviciniamo agli abitanti di questa terra, possiamo osservare la loro preparazione per svolgere questo rito antico e radicato nella loro cultura che li coinvolge pienamente. Giungendo dalle loro povere dimore si riuniscono nella piazza al centro del villaggio e, prima ancora di salutarsi, silenziosamente si dispongono in cerchio abbracciandosi vigorosamente: con le loro braccia grosse, massicce e muscolose si stringono l’uno all’altro, a tal punto che osservando i loro arti superiori possiamo notare le vene delle braccia che si gonfiano e i muscoli guizzare rigidamente ad ogni battito cardiaco. Le gambe, corte e tozze, sono leggermente flesse per permettere un maggiore equilibrio e un favorevole ancoraggio al suolo. Anche le schiene robuste e nerborute si piegano leggermente in avanti, mentre il viso è rivolto verso il basso, verso il terreno che si trova ai loro piedi. Gli Alnesi chiudono gli occhi e ognuno di loro irrigidisce tutto il proprio fisico.
A questo punto prende forma un processo alquanto singolare: in un certo senso è come se si congiungessero con la terra sia con il corpo sia con la mente, richiamando dalle vaste profondità del mondo l’energia necessaria per il proprio urlo. Questa entra in loro e dai piedi risale i loro corpi fino a colmarli totalmente; allora gli Alnesi cominciano a trasmetterla l’uno all’altro, facendola scorrere attraverso le loro possenti braccia con le quali si stringono vicendevolmente. In questo modo l’energia richiamata attraversa ogni corpo e solo quando ritorna ad ognuno di loro riaprono gli occhi, che ora sono rossi e pieni di fuoco vitale. Alzando lo sguardo, si fissano l’un l’altro e all’improvviso, con uno scatto secco, rivolgono il proprio volto al cielo lanciando il loro poderoso urlo. Il suono si espande per le valli circostanti e riecheggia nelle distanti praterie.
È così che gli Alnesi traggono l’energia necessaria per affrontare ogni difficoltà nel corso delle loro giornate. Questa pratica consente loro di sentirsi pienamente parte del gruppo e della terra che li ha generati, ma ad oggi non ci rimane che qualche sparuta testimonianza di quest’usanza abbandonata da tempo. Eppure ognuno di noi, anche se forse ne siamo inconsapevoli, può compiere degli esercizi che consentono di richiamare la stessa energia vitale, quella che gli Alnesi chiamavano l’Anima del mondo.

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Era una fresca sera d’estate, camminavo distrattamente ed ero immerso in questi lontani pensieri; ricordavo le lezioni del mio appassionato professore di filosofia che presentava con entusiasmo e con eccitato fervore le antiche usanze di popoli ormai dimenticati. Questi ricordi erano così ingombranti che affollavano tutta la mia mente. Ne ero completamente catturato, a tal punto che quando mi ridestai dai pensieri mi resi conto di essere giunto fino alla fine della spiaggia. Osservai il mare che, a pochi passi da me, si estendeva per molti chilometri fino all’orizzonte: alcune piccole onde nascevano a pochi metri dalla spiaggia e avanzavano lentamente verso la riva con il loro sciabordio leggero e costante, sospinte dalla lieve brezza estiva. Ero solo.
Lentamente mi sedetti sulla sabbia fresca a gambe incrociate e delicatamente mi tolsi i sandali rimanendo a piedi nudi. Lasciandomi accarezzare dal delicato vento serale, cercai di rilassarmi e di abbandonare i pensieri e i ricordi che occupavano la mia mente. L’ambiente mi favoriva. Affondai le dita delle mani tra i soffici granelli della spiaggia e chiusi gli occhi. Il mondo divenne buio.
Cominciai a fare una lunga serie di respiri profondi. Intanto mi concentravo sul battito del mio cuore che pulsava ritmicamente nel mio petto, sempre più lentamente, sempre più rilassato. Contai ogni suo sussulto. La respirazione si fece lenta e distesa. La mia mente iniziò a svuotarsi e dopo alcuni lunghi minuti di silenzio mi ritrovai finalmente libero dalle robuste prigioni dell’intelletto. Ora mi sentivo pacificato in me stesso.
Allora mi sentii ricolmo di un nuovo senso di benessere. Riaprii gli occhi per osservare il mare limpido e innocente che solcava le profondità della terra. Sopra quelle acque pure e incontaminate vegliava un cielo pulito che imbruniva sopra di me.
Quella vista, arricchita da un nuovo senso di pienezza, fece affiorare nei miei ricordi i frammenti di una storia antica: da qualche parte si narrava che in ogni essere vivente e in ogni elemento, da quelli più profondi fino ad ogni superficie, palpitasse l’Anima del mondo. Quest’ultima altro non era che il cuore di Dio, il quale vegliava amorevolmente su ogni terra e su ogni mare.
Alzai lo sguardo al cielo come a cercare l’Artefice di quella grande Opera. In quel momento mi sentii vicino a Lui. Allora mi tornò in mente quel racconto: aveva l’età della creazione del mondo.

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Dopo aver creato la luce e il firmamento, il terzo giorno della creazione Dio disse: “Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un unico luogo e appaia l’asciutto”. E così avvenne. Dio chiamò l’asciutto Terra, mentre chiamò la massa delle acque mare. Dio vide che era cosa buona.
Ma tutto questo non bastava al buon Dio, che volle offrire al mondo un altro dono. Allora dal cuore pulsante della terra egli fece germogliare delle radici che lentamente cominciarono ad attraversare tutto il globo e le sue misteriose forze, fino a lambire tutte le superfici del nostro pianeta.
Ed ecco, questo fu il più grande dono che Dio offrì agli uomini; attraverso queste radici il buon Dio permise ad ogni essere vivente di richiamare a sé l’Anima del mondo che vegliava nel ventre della terra e tutti i sui doni più preziosi: la saggezza, la sapienza e la consapevolezza, il rispetto e la rettitudine, poi il coraggio e la forza, la fiducia e la speranza, la generosità, la pietà, la tenerezza e la carità, infine la pace interiore e la pace tra gli uomini.
Così, all’inizio dei tempi, Dio creò le radici del mondo congiungendole al cuore di ogni essere vivente. Per questo motivo esse erano invisibili agli occhi degli uomini: infatti non con la semplice vista e nemmeno con i sensi più esterni potevano essere trovate, ma era necessaria la parte più profonda di sé; allo stesso modo, solo quando si desiderava unirsi intimamente con l’Anima del mondo e si era disposti ad accoglierla, si poteva prendere consapevolezza delle radici del mondo. Allora queste diventavano visibili a coloro che ne abbisognavano e assumevano diverse forme, in base a ciò che era possibile agli uomini di ogni epoca e di ogni paese: per esempio il legame di una comunità forte e coesa, oppure la meditazione, o ancora la contemplazione della natura.

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Le radici del mondo sono state realizzate per ognuno di noi. Ogni giorno permettono di richiamare l’Anima del mondo o il cuore di Dio, che sono la stessa cosa. Anche quando non vengono riconosciute, esse sono sempre presenti attorno a noi. Non stancatevi mai di usarle, ma fatene uso secondo la forma che più vi appartiene. Esse sono il più grande dono di Dio.

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